L’emotività è una caratteristica che i manuali di psicologia sociale riconoscono agli ingegneri con una certa riluttanza. Eppure, nonostante i miei studi, io credo di essere una persona molto emotiva, quasi passionale, direi.
Le emozioni sono i fenomeni più affascinanti e densi della mia esperienza umana, e credo che lo siano anche per molti altri. La sua etimologia dice tutto: la parola pare derivi dal francese émouvoir, “mettere in moto”. Le emozioni sono un catalizzatore attenzionale e allo stesso tempo un formidabile amplificatore della motivazione. Gran parte di quello che facciamo (e che non facciamo) ha lo scopo di procurarci emozioni. Questo, almeno è ciò che credo.
E allora come mai uno spazio dedicato ad un presunto “abuso delle emozioni” nella comunicazione contemporanea? Proprio per tentare di salvaguardarne il valore contro una retorica prêt-à-porter che sembra ritenere le emozioni una sorta di via di fuga alla logica che tiene il timone della società borghese occidentale e quindi delle nostre esistenze.
La vita (qualsiasi cosa sia) ci tiene legati ad una causalità meccanica che forse ci tranquillizza, ma che non ci soddisfa fino in fondo, e alla quale cerchiamo di sfuggire semplicemente rifugiandoci in un territorio neutro, dove possiamo indulgere ad una risposta immediata (nel senso di “non mediata”, “spontanea”) agli eventi che ci accadono.
Peccato che quasi sempre tutto ciò sia sempre relegato ad una funzione puramente ricreativa, ad una sorta di palestra emozionale in cui la nostra affettività è attivata, per così dire, a vuoto. Destinati a fare da attrezzi per questi esercizi sono non solo l’intrattenimento mainstream, ma anche alcune delle attività più complesse e ricche di senso dell’attività umane, quali ad esempio l’arte, oggi derubricata ad un semplice passatempo da “domenica della vita”.
Ecco; lo scopo (o meglio: il sogno) di questo spazio è di ricollocare le emozioni al posto che le competono all’interno della vita della nostra mente e riscoprire il loro dialogo con le altre nostre facoltà e con il mondo della cognizione. Il tutto cercando di fare un po’ di chiarezza su cosa siano in realtà le emozioni, e, perché no, anche demistificando alcune delle trovate retoriche più ricorrenti e pacchiane che tirano in ballo emozioni nella comunicazione quotidiana, non solo nella pubblicità, ma anche sui social, nei programmi di intrattenimento, nelle fiction.
Buona lettura.
Giovanni Cappiello
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