L’Impero delle Emozioni

Un’indispensabile guida contro gli abusi emotivi della comunicazione contemporanea

Ciò che non si può capire

“Tu chiamale se vuoi emozioni”. Mi è capitato più di una volta di trovare questo verso di Giulio Rapetti (con o senza la sua chiusa “emotiva”) come titolo di saggi di estetica o filosofia 1Cito ad esempio S. Pasticci, Tu chiamale, se vuoi, emozioni, secondo capitolo di Musica, valori, identità: il riflesso dell’odio nello specchio dei suoni, in V. Magrelli (a cura di), Odio della Musica?, Università di Cassino, 2014 e A. Coliva, Tu chiamale se vuoi emozioni, in Bollettino Filosofico XXIV, Università della Calabria., 2008. Una ricerca sul sito academia.edu porta ad altri risultati.. Meno fortuna, almeno per quello che mi risulta, ha incontrato il verso subito precedente della notissima lirica. Probabilmente questo articolo non ha l’autorevolezza per pareggiare i conti; ed in effetti non è questa sua impopolarità che mi interessa quanto l’impatto che esso ha sulle parole che subito lo precedono nella composizione di Mogol. La frase completa si risolve nell’invito a chiamare “emozioni” ciò che non si può condividere: “dato che non puoi capirle, se ti va, puoi chiamarle emozioni”.

Direi che qui traspare un punto importante: le emozioni possono diventare un’antonomasia dell’informazione non trasmissibile, del contenuto prigioniero di una sfera privata. Questo perché non è possibile trasmetterle in maniera da favorire una conoscenza condivisa.

In questo possiamo trovare forse una prova della nostra unicità; e anche della nostra solitudine. Le parole sono sassi che delimitano un sentiero angusto, il linguaggio, che si snoda attraverso un paesaggio immenso, bellissimo, o, se si vuole, sublime. Questa minuscola stradina è l’unica in cui noi possiamo incrociare i nostri simili. Al di fuori di essa i luoghi, per quanto affascinanti, sono deserti.

La soglia del linguaggio si apre sulla solitudine; cercare di spingere avanti questo limite, fargli guadagnare pochi centimetri verso l’orizzonte è il destino dei poeti. Sarebbe forse il caso di non lasciarli soli.


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    Cito ad esempio S. Pasticci, Tu chiamale, se vuoi, emozioni, secondo capitolo di Musica, valori, identità: il riflesso dell’odio nello specchio dei suoni, in V. Magrelli (a cura di), Odio della Musica?, Università di Cassino, 2014 e A. Coliva, Tu chiamale se vuoi emozioni, in Bollettino Filosofico XXIV, Università della Calabria., 2008. Una ricerca sul sito academia.edu porta ad altri risultati.

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