Il linguaggio resta uno dei grandi misteri della mente umana. Un meccanismo formidabile per la condivisione della conoscenza che combina, lungo i sentieri alchemici delle nostre sinapsi, schemi innati ed elementi acquisiti in uno strano ircocervo di natura e cultura. Ed è stupefacente che, mentre nasciamo privi di un linguaggio definito, una volta che ne abbiamo acquisito uno ci sembra indispensabile anche per presentare a noi stessi i nostri pensieri.
Insomma con un immagine imprecisa ed enfatica potremmo dire che è la nostra voglia di farci un’idea del mondo e comunicarla agli altri, a spingerci a parlare.
Portare il linguaggio fino ai suoi limiti, cercare di estenderli e superarli in continuazione ha generato alcuni delle tracce più preziose del nostro passaggio sulla terra, segni di cui per secoli si sono riempite le biblioteche, a testimoniare l’infinita ostinazione dell’uomo a cercare un’aderenza sempre più fedele alla sua esperienza al mondo, alla caccia del particolare che sfugge, del modo per “dirlo meglio”, per riprodurre in una frase perfetta la risonanza di un’impressione o la profondità di un concetto.
Restare senza parole significa toccare un limite di questa capacità. Le nostre esperienze sopravvivono in noi ma restano incomunicabili, richiamabili alla memoria privata tramite ricordi di immagini, qualche suono o rumore, vaghe reminiscenze olfattive, imperfette memorie di sapori o di sensazioni tattili. “Non trovare le parole” è l’angolo in cui il mondo a volte ci costringe; è la resa delle armi alla solitudine dell’idiosincrasia e del relativismo. Per questo tentiamo di uscirne con una frase, un tropo, un’immagine che “ci esprima” fedelmente.
Questo fine a qualche tempo fa; oggi invece “restare senza parole” è diventato un sintomo di sensibilità superiore, la preziosa e fortunatamente sempre più comune predisposizione a smarcarsi dal plesso cognitivo e a presentarsi di fronte al mondo con la nostra parte più primitiva, e quindi più pura.
La stessa cosa capita alla bella ragazza protagonista di questo spot, assecondata dal compagno che come lei non riesce a trovare le parole per parlare della sua crociera nel golfo di Napoli. Esperienza capitata in passato ad altri che sono invece riusciti a parlarne, dal Plinio Maggiore a André Gide, per citare a memoria.
Loro, dei gran nerd ante-litteram, nella loro inutile ricerca del mot juste hanno perso l’occasione di dar sfogo alla loro sensibilità nel momento; qui la giovane nuotatrice ci comunica la sua capacità di provare passioni con una specie di singhiozzo che si conclude con la parola che tra poco rimarrà da sola nel nostro vocabolario delle emozioni: “wow”. Un verso – nel senso ferino della parola – palindromo di cui, mi sa, torneremo ad occuparci.
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